by Torquato Tasso (1544 - 1595)
Olindo e Sofronia
Language: Italian (Italiano)
TASSO: Poiche il crudo Aladin vide occultarse l'imagine che Ismeno adoprar pensa, contro i fedeli infellonissi, ed arse d'ira e di rabbia immoderata immensa. Ogni rispetto oblia, vuol vendicarse, (segua che pote), e sfogar l'alma accensa. E premendo nel cor furori ardenti Proruppe al fin la lingua un questi accenti RE: "Morra , morra, non andrà l'ira a vòto, ne la strage comune il ladro ignoto. Pur che 'l reo non si salvi, il giusto pèra e l'innocente; ma qual giusto io dico? è colpevol ciascun, né in loro schiera uom fu giamai del nostro nome amico. S'anima v'è nel novo error sincera, basti a novella pena un fallo antico. Su su, fedeli miei, su via prendete le fiamme e 'l ferro, ardete ed uccidete" TASSO: Così parla a le turbe, e se n'intese la fama tra' fedeli immantinente, ch'attoniti restàr, sì gli sorprese il terror de la morte omai presente; e non è chi la fuga o le difese, lo scusar o 'l pregare ardisca o tente. Ma le timide genti e irrisolute donde meno speraro ebber salute. Vergine era fra lor di già matura verginità, d'alti pensieri e regi, d'alta beltà; ma sua beltà non cura, o tanto sol quant'onestà se 'n fregi. È il suo pregio maggior che tra le mura d'angusta casa asconde i suoi gran pregi, E pur' Amor, quantumque elle si cela A bel Garzon la sua beltà rivela. Colei Sofronia, Olindo egli s'appella, d'una cittate entrambi e d'una fede. Ei ché modesto è si com'essa è bella, brama assai, poco spera, e nulla chiede; né sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella o lo sprezza, o no 'l vede, o non s'avede Cosi fin ora il misero ha servito o non visto, o mal noto, o mal gradito. S'ode l'annunzio intanto, e che s'appresta miserabile strage al popol loro. Alei, che generosa è quanto onesta, viene in pensier come salvar costoro. Move fortezza il gran pensier, l'arresta poi la vergogna e 'l verginal decoro; vince fortezza, anzi s'accorda e face sé vergognosa e la vergogna audace. Mirata da ciascun passa, e non mira l'altera donna, e innanzi al re se 'n viene. Né, perché irato il veggia, il pié ritira, ma il fero aspetto intrepida sostiene. SOFRONIA: "Io vengo alto Signore, e intanto l'ira prego sospenda s'l tuo popolo affrene: vengo a scoprirti, e vengo a darti preso quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso." RE: "Narra, Donzella il tutto; ecco, io commento che non s'offenda il popol tuo christiano." SOFRONIA: "Il reo pur hor si trova al tuo cospetto: oprà è il furto, signor, di questa mano; io l'imagine tolsi, io son colei che tu richerchi, e me punir tu déi." RE: "I vuo' che tu mi scopra chi diè consiglio, e chi fu insieme a l'opra." SOFRONIA: "Il fare ancor minima parte altrui De la sua gloria à nobil cor non lice: Sol di me stessa io consapevol fui, sol consigliera, e sola essecutrice." RE: "Dunque in te sola, e sopra i furti tui caderà l'ira mia vendicatrice." SOFRONIA: "Ben'e ragione, esser a me convenie, se fui sola a l'onor, sola a le pene." RE: "Hor mi palesa, Ov'hai l'imago ascosa?." SOFRONIA: "Non la nascosi, io l'arsi, e l'arderla stimai laudabil cosa; così almen non potrà più violarsi per man di miscredenti ingiuriosa. Signore, o chide il furto, o'l ladro chiedi: quel no'l vedrai in eterno, e questo il vedi. Benché né furto è il mio, né ladra i' sono: giust'è ritòr ciò ch'a gran torto è tolto." TASSO: Or, quest'udendo, in minaccievol suono freme il tiranno, e 'l fren de l'ira è sciolto. Non speri più di ritrovar perdono cor pudico, alta mente e nobil volto; e 'ndarno Amor contr'a lo sdegno crudo di sua vaga bellezza a lei fa scudo. Presa è la bella donna, e 'ncrudelito il re la danna entr'un incendio a morte. Già 'l velo e 'l casto manto a lei rapito, stringon le molli braccia aspre ritorte. Ella si tace, e in lei non sbigottito, ma pur commosso alquanto è il petto forte; e smarrisce il bel volto in un colore che non è pallidezza, ma candore. Divulgossi il gran caso, e quivi tratto già'l popol s'era: Olindo anco v'accorse. Dubbia era la persona e certo il fatto; venia, che fosse la sua donna in forse. Come la bella prigioniera in atto non pur di rea, ma di dannata ei scorse, come i ministri al duro ufficio intenti vide, precipitoso urtò le genti. OLINDO: Non è, non è Signo costei già rea di questo furto, e per follia s'en venta. Non pensòn non ardì, né far potea donna sola inesperta opra cotanta. Come ingannè i custodi? e de la Dea con qual arti involò l'imagin santa? Se 'l fece, il narri. lo l'ho, signor, furata." CHORO: A TRE: Ahi! tanto amè la non amante amata. OLINDO: "Il reo son'io, Io là, donde riceve l'altra vostra meschita e l'aura e'l die, di notte asceci, e trapassai per breve fóro tentando inaccessibil vie. A me l'onor, la morte a me si deve: non usurpi costei le pene mie. Mie son quelle catene, e per me questa fiamma s'accende, e 'l rogo a me s'appresta." SOFRONIA: "A che ne vieni, o misero innocente? qual consiglio o furor ti guida o tira? Non son io dunque senza te possente a sostener ciò che d'un uom può l'ira? Ho petto anch'io, ch'ad una morte crede di bastar solo, e compagnia non chiede RE: "Credasi dunque ad ambo, e qulla e questi vinca, e la palma sia qual si conviene. Puniscansi, o sergenti, ogn'uno appresti contre chi tanto erro fiamme, e catene. Siano ambo stretti al palo stesso; e vòlto è il tergo al tergo, e 'l volto ascoso al volto." TASSO: Composto è lor d'intorno il rogo omai, e già le fiamme il mantice v'incita, quand'il fanciullo in dolorosi lai proruppe, e disse a lei ch'è seco unita: OLINDO: "Quest'è dunque quel laccio ond'io sperai teco accoppiarmi in compagnia di vita? questo è quel foco ch'io credea ch'i cori ne dovesse infiammar d'eguali ardori? Altre fiamme, altri nodi Amor promise, altri ce n'apparecchia iniqua sorte. Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise, ma duramente or ne congiunge in morte. Piacemi almen, poich'in sì strane guise morir pur déi, del rogo esser consorte, se del letto non fui; duolmi il tuo fato, il mio non già, poich'lo ti moro a lato. Ed oh mia sorte aventurosa a pieno! oh fortunati miei dolci martìri! s'impetrarò che, giunto seno a seno, l'anima mia ne la tua bocca io spiri; e venendo tu meco a un tempo meno, in me fuor mandi gli ultimi sospiri." SOFRONIA: "Amico, altri pensieri, altri lamenti, per più alta cagione il tempo chide. Ché non pensi a tue colpe? e non rammenti qual Dio prometta a i buoni ampia mercede? Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti, e lieto aspira a la superna sede. Mira 'l ciel com'è bello, e mira il sole ch'à sé par che n'inviti e ne console." TASSO: Qui il vulgo de' pagani il pianto estolle: piange il fedel, ma in voci assai più basse. Un non so che d'inusitato e molle par che nel duro petto al re trapasse. Ei presentillo, e si sdègnò; né volle piegarsi, e gli ochhi torse, e si ritrasse. CHORO: A TRE: Tu sola il duol comun non accompagni, Sofronia, e pianta da ciascun, non piagni TASSO: Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero ché tal parea d'alta sembianza e degna; e mostra, d'arme e d'abito straniero, che di lontan peregrinando vegna. La tigre, che su l'elmo ha per cimiero, tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna, insegna usata da Clorinda in guerra; onde la credon lei, né 'l creder erra. Chi sian questi, ella chiese, onde risposto breve ma pieno à le dimande sue. Stupissi udendo, e imaginé ben tosto ch'egualmente innocente eran que' due. Già di vietar lor morte ha in sé proposto, quanto potranno 1 preghi o l'armi sue. Pronta accorre a la figrnma, e fa ritrarla, che già s'appressa, ed a i ministri parla: CLORINDA: "Alcun non sia ch'n questo duro ufficio oltra seguire abbia baldanza, sin ch'io non parli al re :ben v'assecuro ch'ei non v'accuserà de la tardanza." TASSO: Ubidiro i sergenti, e mossi furo da quella grande sua regal sembianza. Poi verso il re si mosse, e lui tra via ella trovè che 'ncontra lei venia. CLORINDA: "Io son Clorinda: haurai forse intesa talor nomarmi; e qui, signor, ne vegno per ritrovarmi teco a la difesa de la fede comune e del tuo regno. Son pronta, imponi pure, ad ogni impresa : l'alte non temo, e l'umili non sdegno; voglimi in campo aperto, o pur tra'l chiuso de le mura impiegar, nulla ricuso." RE: Qual si riposta parle, o sì disgiunta terra è da l'Asia, o dal camin del sole, vergine gloriosa, ove non giunta sia ala tua fama, e l'onor tuo non vóle? Or che s'è la tua spada a me congiunta, d'ogni timor m'affidi e mi console: non, s'essercito grande unito insieme fosse in mio scampo, avrei più certa speme. Già già mi par ch' a giunger qui Goffredo oltra il dover indugi; or tu dimandi ch'impieghi io te . sol di te degne credo l'imprese malagevoli.e le grandi. Sovr'a i nostri guerrieri a te concedo lo scettro, e legge sia quel che comandi." CLORINDA: "Nova cosa parer dovrà per certo che preceda a i servigi il guiderdone; ma tua bontà m'affida : i' vuo' ch'in merto del futuro servir que' rei mi done. In don gli chieggio; e pur,-se 'l fallo è incerto, gli danna inclementissima ragione; ma taccio questo, e taccio i segni espressi onde argomento l'innocenza in essi. Al superior Macon recar mi giova il miracol de l'opra, ed ei la fece per dimostrar ch'i tèmpi suoi con nova religion contaminar non lece. Faccia Ismeno incantando ogni sua prova, egli a cui le malie son d'arme in vece; trattiamo il ferro pur noi cavalieri -. quest'arte è nostra, e 'n questa sol si speri." RE: "Abbian vita, coloro e libertade, e nulla a tanto intercessor si neghi. Siasi questa o giustizia over perdono, innocenti gli assolvo, e rei gli dono." TASSO: Così furon disciolti. Aventuroso ben veramente fu d'Olindo il fato, CHORO: Aventuroso ben veramente fu d'Olindo il fato, ch'atto poté mostrar che 'n generoso petto al fine ha d'amore amor destato. Va dal rogo a le nozze; ed è già sposo fatto di reo, non pur d'amante amato. Volse con lei rnorire: ella non schiva, poi che seco non muor, che seco viva.
Authorship:
- by Torquato Tasso (1544 - 1595) [author's text not yet checked against a primary source]
Musical settings (art songs, Lieder, mélodies, (etc.), choral pieces, and other vocal works set to this text), listed by composer (not necessarily exhaustive):
- by Domenico Mazzocchi (1592 - 1665), "Olindo e Sofronia", 1638. [text verified 1 time]
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